che tu sia per me il
coltello

progetto fotografico di
Silvia Patron
(2021)
“A volte penso che forse, all’inizio, è stata la tua ferita ad attrarmi.”
Le immagini hanno l’intenzione di ricreare un percorso narrativo traendo ispirazione dalla citazione del libro “Che tu sia per me il coltello” di David Grossman. Come una sorta di “via crucis” descrivono le varie fasi di un rapporto affettivo disfunzionale e tossico. Gli elementi utilizzati giocano sulla sinestesia per affermare e determinare il loro significato: il limone cangiante, acido e corrosivo; le fragole immature dolci e acidule che, tagliate, lasciano tracce indelebili sul telo bianco; le infiorescenze delle cime di rapa caratterizzano l’amarezza e l’ingenuità; il kiwi, che compare soltanto nella penultima fotografia come elemento di rottura, si contraddistingue anch’esso con note acide e dolci. Il coltello arrugginito, sempre ai margini dell’inquadratura, è una presenza imminente, un memento mori di tensione che viene attratto e respinto simulando l’azione di un respiro che viene trattenuto troppo a lungo per poi essere espirato frettolosamente per sfinimento. Lasciarsi attrarre da una ferita inevitabilmente lascerà a sua volta feriti e, irrimediabilmente, lacerati. Le narrazioni romantiche di cui siamo intrisi e assoggettati ci porteranno sempre a giustificare ferite e lacerazioni in abito affettivo come parte imprescindibile delle relazioni umane senza considerare quali siano le conseguenze sociali che queste narrazioni di normalizzazione del dolore hanno avuto e continuano ad avere sul comportamento umano, soprattutto nelle fasi di formazione legate all’infanzia.

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